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Appena tornata per passare la Pasqua in Italia, Annalisa Fortunato - una delle volontarie in servizio civile all’estero con l’ENGIM Internazionale -, ha accettato di incontrare i volontari della “Bottega del Mondo” di Via degli Etruschi, per raccontare la sua esperienza nel “Centro Preventivo Ubaldo Bonucelli” di Tena , in Ecuador, dove lavora con bambini dai 6 ai 12 anni. Ne è nata una serata ricca di emozioni, in cui la testimonianza di Annalisa, così come quelle di Anna e Giusy, altre due volontarie dell’ENGIM, hanno toccato il cuore dei tanti giovani presenti.
Annalisa, puoi raccontare anche a noi cosa fai in Ecuador, di cosa ti occupi?
Beh … Per prima cosa devo dire che sono andata in Ecuador pensando di andare a fare solo la psicologa, e, invece, mi sono ritrovata a fare un po’ di tutto, dall’animatrice alla maestra di pittura. All’inizio ho cominciato a lavorare nel doposcuola del “Centro Preventivo” gestito dai Giuseppini, poi, dopo un paio di mesi, abbiamo messo in piedi una
mensa per i ragazzi di strada che adesso accoglie ogni giorno una trentina di adolescenti. Il lavoro al doposcuola è molto interessante. Si tratta di un servizio rivolto ai figli di famiglie disagiate, e con questi bambini facciamo laboratori di educazione ambientale, musica, sport, giochi didattici. E’ un lavoro a rete, che coinvolge le famiglie e prevede cammini ed obiettivi specifici per ogni bambino o ragazzo.
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Quali sono le difficoltà maggiori del tuo lavoro?
La difficoltà maggiore è, senza, dubbio, trovarsi in una cultura profondamente diversa dalla tua. Devi stare attenta a modulare le proposte perché non sai mai come possono essere interpretate. Un altro problema è quello di lavorare con persone che, in teoria, hanno fatto il tuo stesso corso di studi, ma che in pratica hanno ricevuto una formazione molto differente. Le colleghe dell’Ecuador, ad esempio, mettono in pratica una pedagogia che si basa molto sul premio o sulla punizione, che in Italia è oramai superata perché fortemente condizionante la crescita del bambino.
Quali sono le sensazioni più forti che hai riportato a casa, cosa racconti di questa esperienza?
Racconto che provo un senso di pienezza del tutto nuovo. L’esperienza che sto facendo in Ecuador ti riempie sia a livello fisico che mentale. Ho iniziato a farmi mille domande sul nostro stile di vita occidentale, sui bisogni fittizi che ci siamo creati. E’ un continuo paragone fra la nostra cultura e la loro, tra la nostra gente e la loro, tra i ragazzi che crescono nelle nostre città e quelli con cui mi trovo a lavorare. Anche a livello emozionale è tutto molto strano. A Tena viviamo senza teatro, senza cinema e con pochissimi libri, eppure sentiamo che non ci manca nulla. Mi sembra di avere acuito la mia sensibilità, ho imparato ad apprezzare di più le piccole gioie, come un sorriso od un abbraccio.
Cosa ti aspettavi andando in Ecuador?
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Prima di partire avevo cercato di azzerare le mie aspettative, anche se devo confessare che avevo una certa dose di paura. Era la prima volta che andavo fuori dall’Europa e avevo più di un timore. In poco tempo, però, ho superato tutte le mie paure, mi sono completamente rilassata e ho capito che pur essendo un mondo molto diverso dal mio era un mondo che non poteva farmi del male.
Come influirà questa esperienza nel tuo futuro?
Devo dire che ho acquisito una calma ed una tranquillità che non avevo e che mi torneranno utili, sia a livello personale che lavorativo. Ho imparato ad apprezzare il mio tempo, le cose che ho a disposizione. Tornando in Italia spero soltanto di non trovarmi disadattata. Già in questi pochi giorni che ho ritrovato il mio ambiente, provo un velo di tristezza nel guardare gente scontenta pur avendo un ben di Dio tutto intorno, gente che ha tre macchine e dice che non ce la fa ad andare avanti. Ragazzi scontenti e in cerca di chissà cosa. Lì in Sudamerica vivono con tre dollari al giorno e non c’è l’insoddisfazione che ho ritrovato qui. E’ un qualcosa che deve farci riflettere tutti.